La Corte di Cassazione (con sentenza 8826/2007), poi confermata dalle Sez. Unite (577/2008), ha riassunto i punti chiave della responsabilità civile professionale del medico (responsabilità medica) ed ha stabilito che la responsabilità del medico trova fondamento nel c.d.contatto sociale, “fonte di un rapporto che ha ad oggetto una prestazione che si modella su quella del contratto d’opera professionale”.
In sostanza, “la responsabilità, sia del medico che dell’ente ospedaliero, trova titolo nell’inadempimento delle obbligazioni ai sensi degli articoli 1218 ss. Cc (v. Cassazione, 9085/06; Cassazione, 11488/04; Cassazione, 3492/02; Cassazione, 589/99).
-Si tratta quindi di una responsabilità contrattuale.
Oneri probatori
La Cassazione a Sezione Unite, (13533/01), in tema di onere della prova dell’inadempimento, ha affermato che il paziente che agisce in giudizio deve, anche quando deduce l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, provare solo il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta.
Pertanto, in base all’articolo 1218 del Codice Civile, che disciplina la ripartizione, tra le parti di un contratto, dell’onere probatorio, il paziente – creditore, ha il mero onere di affermare l’esistenza del contratto ed il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità (da ultimo v. Cassazione, 12362/06; Cassazione, 11488/04).
“Va quindi conseguentemente affermato che, in ogni caso di “insuccesso”, incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (v. Cassazione, 10297/04; Cassazione 11488/04) (pagg. 38-44).
E’ pur vero che la Corte afferma anche che, in tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non possa essere desunta, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente.
Più precisamente, la Suprema Corte afferma che l’attività del medico oggetto di indagine deve essere valutata alla stregua di doveri oggettivi inerenti allo svolgimento dell’attività professionale. (Cassazione 23918/06).
Secondo la regola sopra ribadita in tema di ripartizione dell’onere probatorìo, provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell’attività non consegue il risultato normalmente ottenibile in relazione alle circostanze concrete del caso, incombe sul medico (a fortiori ove trattisi di intervento semplice o routinario) dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza, che ha impedito di ottenere il risultato stesso.
E laddove tale prova non riesca a dare, secondo la regola generale ex articoli 1218 e 2697 CC, il medesimo rimane soccombente.